Racconti di olive, olio e fuje strascinate

di Niva
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fuje strascinate all'abruzzese

La ricetta della verza in padella all’abruzzese, le fuje strascinate, è quella di un piatto dal sapore contadino che porta con sè tanti ricordi di un tempo che fu. Ancora oggi continua a vivere sulle tavole degli abruzzesi durante l’inverno, e in particolare la sera della vigilia di Natale e quando arriva l’olio nuovo.

Vediamo insieme la ricetta della verza in padella, un piatto semplice che conquisterà tutti, perfetto anche per i vegani e scopriamo la storia antica di questo piatto legata alla raccolta delle olive.

Verza in padella all'abruzzese

Ricetta de l fuje strascinate (verza in padella): ingredienti

Per 6 persone:

  • 1 cavolo verza
  • ½ bicchiere d’olio
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 1 bicchiere d’acqua
  • 2 spicchi d’aglio
  • 2 foglie di alloro
  • Peperoncino a piacere

Procedimento:

  1. Pulite la verza eliminando le foglie esterne dure.
  2. Dopo averle lavate accuratamente, tagliatele a listarelle.
  3. In una padella con i bordi alti versate l’olio e fatevi soffriggere gli spicchi d’aglio sbucciati.
  4. Versate il vino e l’acqua nella padella e portate ad ebollizione.
  5. Aggiungete la verza e il sale e lasciate cuocere, mescolando ogni tanto con un cucchiaio di legno; a metà cottura aggiungete le foglie di alloro e il peperoncino (opzionale).
  6. Lasciate bollire fino a quando l’acqua non è completamente ritirata e servite le verze ben calde.
Albero di olivo, varietà leccino abruzzese

Aneddoti sulla verde in padella all’abruzzese

Sulle colline pescaresi dove vivo la maggior parte delle famiglie ha il proprio piccolo uliveto per la produzione familiare e, se avanza qualcosa, viene lasciato al frantoiano. La raccolta delle olive qui è un lavoro di famiglia e partecipano tutti, anche i bambini. E che emozione quando per la prima volta si entra in un frantoio e si assiste a quella magia che trasforma le olive nel nostro oro giallo. Quando poi si cresce si partecipa alle chiacchiere del bar dove è tutto un chiedersi l’un l’altro “Quant’ì fatt? e “A ti, quant t’ha fatt?”, che in italiano vuol dire, più o meno “Quanti quintali di olive hai raccolto?” e “Quanti litri di olio hai ottenuto con un quintale di olive?”. Tutto il paese è in fermento, trattori colmi di olive cha vanno e vengono dal frantoio, capannelli di persone che aspettano fuori dal frantoio il risultato delle loro fatiche….

L’autunno in Abruzzo significa olio nuovo. Sulle zone della costa, sulle colline e nelle valli dell’aquilano, gli abruzzesi in questo periodo sono tutti affaccendati nella raccolta e nella molitura delle olive. Ed è proprio questa la parte che mi piace di più e che dà all’olio nuovo un sapore davvero speciale: sono momenti di condivisione e allegria.

Dagli anni ’50 con l’ausilio della tecnologia le cose sono molte cambiate, ma a casa continuiamo a preparare questi piatti e voglio condividere con voi la ricetta de l fuje, un piatto talmente legato alle nostre tradizioni che dalle mie parti è anche il contorno tipico del cenone della Vigilia di Natale.

Oggi si fatica molto meno, sia nella raccolta che nella molitura perché il lavoro è quasi tutto meccanizzato, ma una volta non era così. La raccolta iniziava il 2 novembre (non i primi giorni di ottobre come oggi) e spesso nevicava anche, il che non era considerato sempre un male: se c’era la nebbia le olive si bagnavano e si gonfiavano d’acqua, mentre se nevicava le olive si asciugavano e l’acqua andava via da sola. Le olive venivano raccolte a mano, facendole cadere sui teli e nella saccuta, un sacco con un cerchio di legno lungo l’apertura e 2 lacci per legarlo in vita. Mia nonna ne aveva fatta una piccola per me, bianca con grosse righe azzurre.

Adesso le olive vengono portate subito al frantoio, mentre un tempo si aspettava qualche giorno prima di molirle perché la liv ha da pijà la call, si deve scaldare: all’interno dei grandi mucchi di olive nel frantoio si sviluppa calore e questo, secondo la credenza popolare, era utile perché fa uscire l’acqua dalle olive. Un tempo i frantoiani dormivano nel frantoio su grandi sacchi pieni di fieno o di foglie delle pannocchie per tutto il tempo della raccolta e solo al termine tornavano a casa e, si racconta, tornavano ingrassati. Il loro lavoro fisico era molto duro: pensate che la pressa veniva azionata a mano da 2 operari con un pistone. Ed era anche loro il compito di prestare attenzione al decantamento dell’olio e separarlo dalle impurità con un colino. Ma stavano al caldo perché nel frantoio c’era sempre un grande camino e chi andava a molire le olive portava sempre da mangiare oppure si cucinava nel camino: spezzatino, pizze fritte, ma soprattutto spaghetti alla trappitara e fuje strascinate (verza in padella), piatti adatti per gustare appieno l’olio appena fatto.

Con cosa abbinare questo contorno

L fuje strascinate sono un piatto povero e gustoso che si accompagna bene con le salsicce e la carne di maiale in generale, ma anche con le sarde fritte e il peperone dolce secco fritto. Immancabile, poi, un bicchiere di buon vino rosso come il Montepulciano d’Abruzzo.

Ps: grazie a zia Giulia per avermi raccontato cosa succedeva nei frantoi nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale.

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2 commenti

Rita 04/07/2022 - 15:33

Grazie per il ricetto. Sono canadese e quando la mia mamma le faceva era tanto buono. La mia bella mamma mi manca tanto

Reply
Niva 05/07/2022 - 17:43

Ciao Rita! Sono felice di averti fatto tornare alla mente un bel ricordo. Sono sicura che la tua mamma era una bravissima cuoca! <3

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